Un discutibile Don Giovanni a Verona,
con la regia di Enrico Stinchelli, divide il pubblico.
di S. M.
Domenica 3 febbraio è andata in scena al Teatro Filarmonico di Verona l’ultima recita del Don Giovanni, capolavoro mozartiano e concentrato di arie, duetti e concertati di grande bellezza in un insieme che si fonde perfettamente nella musica del genio viennese. Nulla si può dire di nuovo su questa conosciutissima opera.
Enrico Stinchelli, regista di questa rappresentazione, ha letteralmente riempito il palco del Filarmonico con una tecnologia che ormai si inizia a vedere spesso nei teatri e cioè la videoproiezione di ambienti ed effetti, resi tridimensionali con l’aiuto delle tele trasparenti su più piani. Il risultato visivo è efficace e gradevole nell’insieme, specie se supportato, come in questo caso dal light designer Paolo Mazzon, da un attento e preciso gioco di luci. Non abbiamo visto tuttavia nessuna novità particolare: ormai banali, scontati e sempre fuori tempo e luogo i selfie al cellulare, con improbabili macchinisti che all’inizio interagiscono con gli artisti (non siamo riusciti a carpirne il significato) o la scena di orge saffiche, piuttosto di cattivo gusto e non più comunque originali o provocatorie. Non è nuova anche la soluzione delle passerelle laterali ai lati dell’orchestra, da dove più volte i personaggi sono entrati ed usciti dalla scena, sicuramente più che altro una scelta obbligata dalla presenza della tela per le proiezioni degli effetti speciali, che avrebbe interferito, se non addirittura impedito, il corretto ingresso in scena degli artisti. Proprio per questo motivo questi ultimi sono stati costretti in poco spazio tra buca e tre gradini sul proscenio con evidenti momenti di difficoltà nei movimenti. Anche nelle scene di insieme, o che si svolgevano in un ambiente interno, quindi sul palcoscenico vero e proprio, solo le proiezioni a riempire la scena di fondo, e la quasi totale assenza di arredi scenici.
Sappiamo bene tutti che le vicende di Don Giovanni sono ambientate a Siviglia: lascia un po’ perplessi dunque la scelta registica che ha imposto al visual designer Enzo Antonelli di sfondi paesaggistici con colline, fiumi o laghi, grandi mura con arcate e statue quasi in stile antica Roma, ambienti bucolici o tetri boschi. Solo un grande ventaglio proiettato ha rimandato l’idea alla città spagnola. Assolutamente anonima la regia per i movimenti scenici degli artisti sul palco.
La delusione maggiore deriva però dal comparto vocale: Don Giovanni e Leporello talmente simili timbricamente che nei duetti e nei concertati è stata la confusione a regnare sovrana, e in molti momenti è stato impossibile seguire il testo dei sovratitoli con il cantabile e i recitativi.
Decisamente migliore tra i due il Leporello di Biagio Pizzuti, con voce risultata più naturale e meglio impostata rispetto al Don Giovanni di Andrea Mastroni, che, pur possedendo naturalmente una bella voce molto scura, si è prodigato nel tentativo, assolutamente non necessario, di ottenere un colore ancora più scuro, ottenendo così un effetto contrario a quello voluto.
Don Ottavio, interpretato da Oreste Cosimo, si è difeso al meglio, ma ha avuto anch’esso per l’intera opera un’emissione di voce strana: anche per lui si è notato la stessa intenzione di scurire la linea vocale, quando, invece, un timbro più chiaro e naturale non sarebbe dispiaciuto. Masetto di Davide Giangregorio , è stato abbastanza corretto, ma eccessivamente irruento con la sua Zerlina, un po’ diverso dal personaggio previsto dall’autore.
George Andguladze ha impersonato il Commendatore: a parte il suo piccolo intervento iniziale, non si è più visto, nemmeno nella scena finale dell’opera, ma solo ascoltato in una tristissima amplificazione elettronica, scelta registica veramente infelice: la bellezza del finale di Don Giovanni è stata stravolta non mettendo in scena il fantasma del Commendatore, ma solo un’immagine riflessa su uno specchio in una macabra miscellanea che ricordava più che altro un cartone animato per bambini.
Barbara Massaro è stata Zerlina: è mancato decisamente quel pizzico di raffinatezza in più che richiede la parte, tuttavia in questa giovane artista si possono intuire buone qualità vocali già presenti, che sicuramente miglioreranno con il tempo.
Donna Elvira, interpretata da Veronika Dzhioeva, per la sua eccessiva irruenza é sembrata più un’ Abigaille verdiana. Le eccessive spinte vocali sugli acuti, per accentuarne la rabbia verso Don Giovanni, hanno prodotto un risultato mediocre. Meno veemenza non avrebbe nascosto la rabbia, ma avrebbe esaltato maggiormente le sue qualità vocali, che non le mancano: belli infatti alcuni momenti lirici, molto ben gestiti in modo garbato e che abbiamo più che apprezzato.
Dulcis in fundo la Donna Anna di Laura Giordano: unica che per emissione vocale, gusto e bellissime linee di canto ha saputo rendere giustizia all’opera mozartiana. Mai spinta o eccessiva, con voce sempre ben puntata e squillante, piacevolissima in un’attenta interpretazione a tutto tondo, pensata dalla prima all’ultima nota. Bravissima!
Non possiamo esimerci dal sottolineare la bruttissima gestione dei recitativi. Forse per colpa della bacchetta del direttore, i cantanti non hanno avuto nemmeno il tempo di respirare e porre i giusti accenti ed intenzioni alle parole che, proprio nei recitativi stessi, devono trovare il giusto respiro e musicalità. Ne è risultata una letterale corsa per pronunciare le parole una dietro l’altra, facendone perdere il senso e piacere, in quei momenti in cui proprio la recitazione avrebbe dovuto essere curata e a completo servizio dei personaggi.
Disappunto pertanto nei confronti della direzione orchestrale di Renato Balsadonna, che ricordiamo ha accompagnato al cembalo anche i recitativi. Discutibili i tempi ed i fraseggi scelti, oltre ai volumi orchestrali che, molto spesso, sovrastavano le voci. Anche l’Orchestra del Filarmonico di Verona ha avuto diversi momenti di defaillance, con scollamenti tra buca e palco che non sono passati inosservati.
Bene, come sempre, il Coro della Fondazione Arena di Verona diretto da Vito Lombardi.
Bellissimi i costumi di Maurizio Millenotti, in perfetto stile e coloratissimi.
Sono sempre tante le aspettative del pubblico per una nuova produzione, ma l’esperienza insegna che ci si può trovare invece davanti ad un insuccesso inaspettato, nonostante gli sforzi profusi dal Teatro. Infatti, a parte qualche evidente ovazione di sicuro non super partes, anche il pubblico stavolta era chiaramente diviso, con molte braccia conserte alla fine della recita.
La recensione si riferisce alla recita del 3 febbraio 2019.
Photo©Ennevi